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La "bella industria locale": l'Ottocento

Il nuovo corso dell’attività ceramica civitonica si deve, in una prima fase che va dalla fine del Settecento alla seconda metà dell’Ottocento, all’intervento di imprenditori provenienti dall’esterno. Lo stimolo iniziale fu il desiderio di emulare il successo ottenuto sui mercati italiani e europei dalla terraglia perfezionata nel 1754 dall’inglese Wedgwood, più resistente ed economica della porcellana; tra il 1790 e il 1805, alcuni artisti e artigiani operanti nel territorio dello Stato Pontificio dichiararono alla Reverenda Camera Apostolica di aver scoperto per primi le cave di caolino presso Civita Castellana: l’architetto romano Giuseppe Valadier con i soci Francesco e Giovanni Antonino Mizelli, originari di Fabrica di Roma; l’incisore veneto Giovanni Trevisan detto il Volpato con il figlio Giuseppe; i toscani Stefano e Francesco Cornamusi, proprietari di un terreno nei dintorni. La manifattura di Treia La Reverenda Camera Apostolica, nel maggio1792, concesse al Valadier e ai fratelli Mizelli il diritto “di poter scavare la Terra, o sia Argilla bianca nei Territori di Civita Castellana, Sutri, Ponzano, S. Oreste e Fabrica in perpetuo, e la Fabricazione privativa per anni venti della Terraglia ad uso d’Inghilterra”; oltre a questo diritto di monopolio, si concedevano il titolo e lo stemma di Fabbrica Pontificia e un mutuo di 6000 scudi per finanziare l’avvio dell’impresa. Ma il Valadier si ritirò tre anni dopo dalla società e la gestione Mizelli iniziò tra eventi luttuosi e difficoltà varie: la morte di entrambi i fratelli tra il 1795 e il 1800 per cui ad occuparsi della manifattura furono i rispettivi eredi; l’occupazione e il saccheggio della manifattura nel 1798 ad opera delle truppe napoletane; il contenzioso con il Volpato che, costretto ad acquistare l’argilla per la sua fabbrica romana dai Mizielli, ne lamentava i “ prezzi arbitrari, e gravosi” e la qualità scadente. Nel 1806, dopo la rinuncia degli eredi Mizielli, la concessione passò per diciotto anni a Francesco Cornamusi, che avendo già condotto una manifattura ceramica fu ritenuto in possesso dell’abilità e dell’esperienza necessaria. Infatti, nel 1810, in occasione di una esposizione tenutasi a Roma per l’onomastico di Napoleone I, egli ottenne una medaglia d’argento presentando ”vasi grandi e vasellame di terraglia”. La gestione della manifattura fu assegnata nel 1826 ad Angelo Volpato, figlio di Giuseppe, e successivamente a Mariano, figlio di Angelo. Il contenzioso rispetto alle cave di caolino da parte di Giovanni Volpato e la presenza a Treia dei suoi discendenti hanno generato, sia negli studiosi che nei civitonici, la convinzione che lo stesso artista veneto fosse stato il primo ad attivare l’impianto ceramico, una convinzione che si è tramandata “ex auditu”, recentemente smentita dallo studio approfondito dei documenti d’archivio, del testamento del Volpato in particolare. Intorno alla metà dell’Ottocento la manifattura fu data in affitto a degli imprenditori bolognesi, prima a Tommaso Roversi, successivamente a Giacomo Rovinetti. Costui rappresentò la prima figura di imprenditore moderno: consapevole della necessità di migliorare metodi di lavorazioni e prodotti per essere competitivo sul mercato, investì i suoi capitali per restaurare l’officina e assumere numerosi operai. Volendo poi tutelare i propri investimenti, nel 1859 chiese e ottenne il diritto d’enfiteusi sull’edificio da lui restaurato; perorarono questa sua richiesta alcune personalità civitoniche tra cui il Vescovo Monsignor De Caroli, il quale scrisse: “ se la disgrazia portava che dovesse chiudersi, molte famiglie sarebbero ridotte all’indigenza...”, evidenziando l’importanza che la fabbrica andava assumendo nella vita economica e sociale di Civita. Il tipo di produzione rimase sostanzialmente invariato per tutto l’Ottocento; due documenti relativi alla prima metà del secolo, un inventario dettagliato dei prodotti giacenti nella fabbrica nel 1805 e la “Nota delle forme e dei prezzi delle terraglie” databile probabilmente agli anni 1826-1830, includono, oltre alla stoviglieria, lavamano, bacili, vasi da notte e “vasi Etruschi”. Le altre manifatture Con la cessazione del diritto di Privativa, intorno agli anni Trenta dell’Ottocento, sorsero a Civita altre manifatture. L’impresa dei fratelli Cassieri, avviata nel 1839, raggiunse nel 1885 dimensioni rilevanti: occupava circa quaranta operai e produceva 300.000 pezzi l’anno che si smerciavano nell’Umbria, a Roma e a Napoli; nel 1887 partecipò, insieme a Rovinetti e alla ditta Conti, all’Esposizione agricola e industriale di Viterbo. Dimensioni minori avevano gli opifici di Tomassoni, di Coramusi, dei Brunelli. Questi ultimi, i fratelli Gualtiero e Antonio Brunelli, negli ultimi decenni del secolo producevano stoviglie in maiolica in uno stabilimento ereditato dal padre Anacleto, situato nei locali dell’ex Ospedale Andosilla. Nell’ultimo scorcio dell’Ottocento la situazione dell’industria ceramica sembra caratterizzata da un gran fermento con società che falliscono e si riformano, impianti che vengono chiusi ed altri che vengono avviati: la società Rovinetti, cui nel frattempo si erano associati Stanislao Laurenti e i fratelli Ettore e Luigi Profili, fallì; i fratelli Cassieri avviarono una nuova manifattura; Conti con altri soci aprì un impianto prima in località “Montarozzo” e poi presso l’ex convento dei Cappuccini; i Brunelli e i Coramusi cessarono l’attività; Tomassoni cedette ad altri il proprio

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At the end of 18th century, ceramic production started a a new course thanks to the intervention of foreign entrepreneurs. The starting incentive was the wish to emulate success on Italian and European markets of pottery, which was improved in 1754 by Wedgwood , making the products more resistant and economic than porcelain. Between 1790 and 1805, some artists and artisans that worked in the Papal States told Reverend Apostolic Chamber about the discovery of kaolin quarries in Civita Castellana; they were the Roman architect Giuseppe Valadier, his working partners Francesco and Giovanni Antonino Mizelli from Fabrica di Roma, Venetian engraver Giovanni Trevisan named Volpato and his son Giuseppe, Tuscan Stefano and Francesco Cornamusi, owners of a close land. In May 1792, the Reverend Apostolic Chamber gave to Valadier and Mizelli brothers the right to dig clay in Civita Castellana, Sutri, Ponzano, S. Oreste and Fabrica di Roma and it gave them title and coat armor of Papal Factory and 6000 scudi to finance the firm. In 1806 the concession went to Francesco Cornamusi who had great experience and ability: in 1810, on the occasion of a Roman exhibition, he obtained a silver medal for his vases. In 1826 the management of the factory passed to Angelo Volpato and then to Mariano. At the end of 19th century some societies went bankrupt then formed again and some factories were opened.