Scegli la lingua e ascolta l'audio
Choose your language and listen to the audio

Image
Image

La fabbrica è il pane

Gli elementi che caratterizzano la storia della produzione ceramica di Civita Castellana costituiscono tratti fondamentali del patrimonio qualturale locale: il lavoro ceramico, fondato sulla conoscenza del mestiere e sulla tradizione associativa, diviene nel corso della prima metà del Novecento cardine della vita sociale cittadina e fattore di coesione e identità. Fabbrica e comunità Fino agli anni Sessanta tutti gli operai appartenevano alla comunità civitonico e tra loro intercorrevano rapporti di parentela, di amicizia o di conoscenza: all’interno della fabbrica si determinava così un clima informale, un atteggiamento generale di vicinanza e di solidarietà. Vincoli di amicizia e parentela univano gli altri civitonico ai ceramisti, generando così un forte legame di coesione fra ambiente interno e ambiente esterno alle imprese. La solidarietà subentrava nel rapporto tra le aziende, quando in caso di chiusura di uno degli impianti ci si preoccupava di assorbire il personale rimasto senza lavoro, o nel rapporto tra operai-salariati e soci-operai, tutti coinvolti, sebbene in misura diversa, nei sacrifici compiuti per salvare gli impianti durante i periodi di crisi. L’atteggiamento solidale da parte di elementi esterni si rivelava spesso di importanza fondamentale, specie per le aziende di soci-operai: i locali fornitori di attrezzature per la lavorazione ceramica, dai costruttori dei mulini a botte alle maestranze specializzate nella realizzazione delle fornaci, accettavano condizioni di pagamento per loro sfavorevoli, pur di agevolare le fabbriche nell’avviamento o nel superamento di momenti di difficoltà. Le relazioni sociali si esplicavano all’interno della fabbrica come nell’ambiente esterno, grazie all’orario di lavoro atipico e alla possibilità di gestire individualmente i tempi di lavorazione. Si iniziava a lavorare molto presto al mattino nelle ore più fredde o fresche che attutivano anche il calore delle fornaci; si aveva così libera una buona parte della giornata , tempo che i ceramisti trascorrevano nei luoghi di ritrovo, la piazza, il circolo, il bar, e facilmente l’argomento di conversazione doveva essere la ceramica. Inoltre nel sistema produttivo a carattere artigianale la presenza di “tempi morti” consentiva di frequente, a piccoli gruppi di ceramisti, di effettuare delle piacevoli pause di alcune ore, in genere utilizzate per “andare a lago a fare merenda” o per fare il bagno nel Treja. La flessibilità dell’orario di lavoro permetteva di adattarlo ad esigenze personali: Renato Conti (nato nel 1912, stampatore alla Vincenti), ricorda che, da ragazzo, quando voleva andare a ballare fino a notte fonda e “attaccare” più tardi al mattino, si tratteneva la sera in fabbrica per anticiparsi, alla luce delle candele, il lavoro del giorno seguente. La vita di fabbrica includeva molte iniziative di carattere sociale: pranzi, gite, attività sportive, partecipazioni collettive alle feste cittadine più importanti che ancora oggi sono il Carnevale e il 1 maggio. Sul finire degli anni Trenta, si inizò ad allestire la sfilata di carnevale e tra i primi viene ricordato il carro realizzato dai lavoratori della Ceramica Vincenti, il 1 Maggio ha rappresentato invece per lungo tempo l’unico giorno di festa collettiva per i ceramisti, occasione per la quale si fermavano tutti i reparti ad eccezione delle fornaci in cottura presidiate dalla coppia di fornaciai di turno “a tenere fuoco”. Fabbrica e comunità si compenetravano in uno stile di vita comunitario regolato da un sistema di relazioni e di valori centrato sulla famiglia e sul lavoro. La fabbrica era concepita dalla comunità intera come fulcro della vita locale, risorsa economica insostituibile da sostenere, bene sociale da tutelare. Identità artigiana e operaia, identità locale Per i ceramisti la fabbrica rappresentava la garanzia di sopravvivenza per la famiglia, in un contesto in cui l’attività agricola si era andata configurando con il tempo come risorsa insufficiente e inadeguata. Garanzia per i figli: spesso, infatti, “siprendeva il posto del padre” e , quando negli anni Cinquanta sorsero numerose le aziende di soci-operai, l’intento dei fondatori era creare occupazione e sicurezza economica anche per la generazione successiva. Garanzia, quindi, di sopravvivenza sociale per la comunità. Il forte senso di responsabilità rispetto al lavoro scaturiva sia da questa consapevolezza che dal sentimento identitario nei confronti della tradizione artigiana civitonico. Le capacità professionali venivano vissute infatti come patrimonio locale, frutto della stratificazione di competenze ed esperienze delle generazioni precenti. Detti popolari riferiti agli stessi ceramisti come “a Civita si è ceramisti dalla nascita” o “a Civita pianti un’insalata e spunta fuori un ceramista” o ancora “i funari ci vogliono di Foligno e i ceramisti di Civita”, esprimono la radicata convinzione che un ceramista locale possedesse una competenza professionale più elevata di chiunque altro per il solo fatto di essere civitonico e che lo stesso successo delle imprese si connettesse principalmente a questa capacità di lavorare “presto e bene”. Un tale orgoglio di campanile ha rappresentato un ulteriore elemento di coesione comunitaria, e, a partire dagli anni Sessanta, quando si è cominciato ad assumere manodopera del circondario, ha creato una sorta di “impermeabilità” verso i non civitonico. Costoro venivano identificati con la loro origine contadina contrapposta all’identità fortemente operai dei civitonico, e perciò ritenuti incapaci di gestire il lavoro ceramico ai livelli più elevati. Il senso di appartenenza, chiaramente espresso con quel “su da noi” con cui i ceramisti si riferivano in genere alla fabbrica nella quale lavoravano, veniva rafforzato dalla militanza politica e sindacale, dalla comune adesione all’ideologia comunista che determinava una visione condivisa di obiettivi e strategie. Le fabbriche furono fucine di dirigenti politici e sindacali: l’esempio più illustre è costituito da Enrico Minio (1906-1973), operaio ceramista, antifascista condannato al confino, deputato della Costituente, senatore della Repubblica per le prime quattro magistrature, sindaco di Civita dal 1949 al 1964.

-

The work in ceramic factories, founded on the knowledge of trade and associative tradition, during the first half of 20th century was a big of social life in the city and factor of identity. There was solidarity between factories too: when a firm closed, the fired potters were employed in others. There were relationships inside and outside factories, thanks to this unusual working time: the potters started working very early in the morning during cooler hours in order to be able to stand the heat coming from the kilns, so they had many free hours that they spent together in local meeting-places. For potters the factory represented the guarantee of preservation for their families because in that time the agriculture was an unsatisfactory resource.