La civiltà Falisca, quale si è rivelata essenzialmente nella suppellettile rinvenuta nelle tombe delle necropoli di Falerii e degli altri centri abitaci della regione, ha avuto un’evoluzione lenta e progressiva, trasformando e dando origine a quelle concezioni e forme nobili e pure in cui l’idea è perfettamente consona con la materia.
Tra i primi saggi di arte locale con caratteri prettamente arcaici ed i meravigliosi vasi falisci del IV secolo a. C. corre vario tempo: cioè quel lungo periodo di transizione durante il quale I’arte, sotto l’influenza degli Etruschi prima e dei Greci dopo, andò a poco a poco acquistando la propria libertà ed individualità e si svolse armonicamente secondo l’indole, l’istinto e le particolari inclinazioni dei Falisci.
La civiltà e I’arte di tale popolo si sviluppò nei primordi dell’età del ferro con le più antiche tombe a pozzo; poichè anche se compaiono in tali tombe armi, strumenti, ornamenti di bronzo, tuttavia per la nuova tecnica ed aspetto di essi, ed anche per la ceramica annessavi, appartengono al periodo del ferro (Della Seta – Italia Ant. – Museo V. Giulia ). Ma precedentemente si hanno manifestazioni di vita fin dall’epoca eneolitica, quando gli abitatori delle caverne scavate lungo i margini del fosso dell’ sola, affluente del Rio Vicano, in contrada Fabrece, sfaldavano e levigavano la selce per farne utensili ed armi da caccia e da difesa.
L’arte del vasaio si esercitò in principio con mezzi rudimentali e procedimento semplice: l’argilla dei vasi ad impasto veniva mescolata con silice e con sostanze arenarie per rendere più efficace e compatta la consistenza ; tale composizione si riconosce nella frattura dei vasi che internamente mostrano di essere di terra bruna omogenea, con pieghettature di arenaria e cristallini di sabbia. Il grado stesso di cottura, a cui sono stati sottoposti i vasi, varia di molto : vi sono ceramiche a superficie nerastra, altre di nero lucido, altre di colore rossastro. Col procedere degli anni, con l’esame della ceramica importata, con I’esperienza diuturna e con l’osservazione attenta ed indagatrice, si venne alla scoperta del procedimento tecnico dei vasi di argilla figulina pura (IV secolo a. C. – Ceramiche Falische). Tale terra, posta in vasche, veniva mescolata, depurata da ogni elemento esterno, passata in modo da essere atta alla manipolazione; eseguito il lavoro plastico, se ne curava il prosciugamento lento e sempre ad una stessa temperatura onde evitare che durante il ritiro dovuto all’essiccazione, l’oggetto si deformasse e si rompesse.
I vasi in tal modo lavorati venivano pitturati con sostanze minerali e quindi deposti in fornaci ben salde e forti ove il fuoco gradualmente doveva ascendere a temperature altissime (900 gradi). Tale fatto richiedeva certamente una pratica ed una conoscenza profonda nel preparare e nel trattare le argille ed i vari colori per pitture, poichè si procedeva con metodi empirici, ma riuscendo però ad ottenere dei veri capolavori d’arte per tecnica e decorazione.
Tipologie di vasi
Vasi ad impasto artificiale
Nelle prime tombe a pozzo si hanno i vasi di rozza e grossolana manipolazione, lavorati con argilla non depurata, ma unita ad altri minerali. Vasi comunemente detti ad “impasto” che a seconda della cottura più o meno forte prendono un colore cinerognolo o nerastro. Essi appartengono alla civiltà chiamata comunemente Villanoviana e che deve essere considerata per quanto concerne l’arte come un riflesso di ciò che si svolgeva nel mondo greco (Civiltà del Dipylon).
I tipi dei vasi del corredo funebre presentano poche e semplici forme: cinerari ed attingitoi a corpo biconico, anforette ed attingitoi a corpo lenticolare, rozzo piatto su piede. La mancanza del tornio non permetteva che i vasi avessero una perfetta forma sferica o cilindrica. In conseguenza le forme predominanti sono a doppio tronco di cono nei vasi più grandi e nei più piccoli quelle lenticolari, così dette perchè più schiacciate.
La decorazione, che si ha nella parte superiore del tronco di cono e nella maggiore espansione del recipiente è semplice e costituita solo da qualche profonda incisione costantemente a motivi geometrici (meandri, angoli, croci uncinate, denti di lupo). La lucidatura, fatta a stecca, dava talvolta al rozzo vaso un aspetto più raffinato. (Necropoli: Celle, Montarano, Scasato).
Vasi d’arte orientalizzante italo-geometrici
Nelle tombe a pozzo meno antiche ed in seguito in quelle a fossa più recenti si nota nella suppellettile una trasformazione della tecnica vascolare: compaiono i prodotti dell’arte orientalizzante, tratti dal Mediterraneo orientale ed i cui centri di fabbricazione non sono stati ancora ben determinati.
Non è da escludere che il progresso, che in questa fase di arte mostra la civiltà Falisca, fosse dovuto all’arrivo di stirpi civilizzatrici, agli Etruschi cioè, provenienti dal bacino orientale del mare Egeo, i quali, emigrati nell’Italia Centrale, si fusero con le popolazioni preesistenti, dando loro nuovo ordinamento politico, nuove relazioni commerciali, nuovo rito funebre ed infine una nuova arte. I vasi dell’arte orientale sono di argilla figulina depurata e lavorata al tornio e cotta nelle fornaci.
Sono i cosiddetti vasi italo-geometrici di argilla biancastra, decorazione con vernici marrone, nerognola, rosso violaceo in fasce, metope a linee parallele, denti di lupo; talvolta fra l’una e l’altra decorazione compare qualche figura d’uccello e nei prodotti più tardi si notano pesci e motivi vegetali orientalizzanti (palmette, boccioli, fiori di loto).
Con tali vasi compare anche il bucchero, vaso d’argilla figulina d’un bel colore nero ebano, che alcuni vogliono attribuire ad un impasto con carbone. In essi v’è la sottigliezza delle pareti che, come nei vasi precedenti, è meravigliosa. Hanno inoltre una delicata decorazione di sottili linee incise, di circoli punteggiati e di animali graffiti, che interrompono la monotonia della superficie nera. Tale ceramica presenta forme di vasi del tutto nuove: oinocoe, sckyphos, kylix, olpe. (Necropoli: Celle, Montarano, Penna).
Vasi d’impasto di imitazione orientalizzante
Contemporaneamente sotto l’influenza di quest’ arte raffinata anche i modesti prodotti locali cercarono di trasformarsi e di migliorarsi nell’imitazione. Si ebbe così un’arte orientalizzante che si rinvenne nelle tombe a fossa. I vasi sono sempre d’impasto artificiale, ma questo, sia per la diversa composizione sia per differenti calorie di cottura, assume esteriormente un color rosso o marrone: si rinvenne anche qualche vaso spalmato di bianco.
Incominciano a comparire i primi vasi dipinti, quelli a superficie rossa con colore bianco e bianchi con colore rosso: la decorazione è sempre con ornati geometrici, semplice e graziosa: meandri, cerchi, denti di lupo trecce; talvolta invece compaiono delle figure di pesci, cavalli ed animali fantastici. Sui vasi a superficie marrone resta ancora in usa la decorazione graffita, ma molto più leggera ed artistica e con soggetti e tecnica nuova.
Si hanno gli stessi motivi dei vasi precedenti, animali e fiori orientali (palmette, boccioli, fiori di loto ecc.). La ceramica è lavorata al tornio e per conseguenza vengono modificate e migliorate le forme: decadono quelle a tronco di cono e lenticolari e prendono il sopravvento le cilindriche e le sferiche: olla, sostegno di olla, tazza e piatto su piede. Le tombe di questa fase raggiungono con le loro oreficerie e gli oggetti preziosi, (ambra, scarabei) uno splendore ed una ricchezza dovuta alla lussureggiante civiltà etrusca. (Necropoli: Celle, Monterano, Penna).
Vasi Protocorinzi e Corinzi
Ai cosiddetti vasi italo-geometrici succedono i protocorinzi che invadono verso la seconda metà del settimo secolo a. C. tutti i mercati e che costituiscono il punto di congiunzione con quelli corinzi. Essi sono piccoli e graziosi vasetti di forme svariate: sferiche, piriformi, ovoidali, che contenevano olii, unguenti, profumi, destinati all’ornamento femminile e per uso atletico.
E l’àlabastron, l’aryballos, il bombylios, di finissima argilla chiara o giallo-lucente a pitture rosse o marrone e con decorazione geometrica a spine, a fasce, a baccellatura che ben si adattavano alle forme minuscole, non esuberanza di riempitivi, ma ornati semplici e graziosi. Fra le zone di figure bestiali (anitre e uccelli) è importante la caccia alla lepre da parte di cani in corsa che dà l’idea di una grande vivacità.
A questi seguono i vasi Corinzi, così detti perchè provenienti da Corinto, in quel tempo importante centro di coltura. Oltre le forme predette con vasi di piccole dimensioni per unguenti e profumi, è frequente l’aryballos globulare dal corto collo e dall’orlatura espansa; si hanno però ben presto oinocoe, kylix, con ornamenti a zone di animali veri o chimerici intramezzati e suddivisi da rosette, da foglie, da cerchi. Tali riempitivi sono sempre espressi con esuberanza ingombrante, senza alcuna accuratezza. (Necropoli: Celle, Penna, Valsiarosa).
Vasi Attici
Verso il VI secolo a. C. comincia nelle tombe a camera a manifestarsi una nuova corrente commerciale che arrestò lo sviluppo e fece isterilire l’industria locale dei vasi ad impasto e soppiantò il primato che i vasi corinzi avevano sui mercati esteri, specialmente Etruschi e Falisci.
E’ la ceramica attica che arriva fino allo scorcio del V secolo a. C. e che domina tutte le regioni con i vasi che erano capolavori di tecnica e di pittura. (Vaso Francois). I vasi formati di argilla pura di un bel rosso vivo, dovuto certamente all’ossido di ferro contenuto in maggiori proporzioni e ricoperto alla superficie da meravigliose figure umane, presentavano belle e svariate forme: hydria, cratere, stamnos, pelike, lekythos. I primi vasi attici sono a figure nere su fondo rosso, ai quali seguono quelli a figure rosse su fondo nero che si dividono e classificano con il nome di stile severo, nobile e fiorito.
Nella ceramica attica le figure nere ormai perfettamente corporee, che spiccano con il loro nero lucente sul fondo rosso dell’argilla, obbligavano I’artista nella trattazione del prospetto e del profilo con limitata particolarità del vestito e delle, fattezze umane, dovuta all’uso del graffito. L’inversione del sistema pittorico, figure rosse su fondo nero, porta una vera e grande innovazione nei metodi espressivi delle scene; da questo mutamento di tecnica si avvantaggiò l’arte del disegno con schemi obliqui, con vivezza di movimento del corpo e con particolari molto più accentuati e minuziosi.
Le vivaci figure rosse, dovute al colore dell’argilla, risaltano sul fondo ricoperto di vernice nera mostrandosi piene di vita e di sentimento. Il vaso attico, oltre alla parte centrale figurata, era ornato con triangoli, con palme rette od oblique, con meandri. I soggetti della decorazione pittorica erano tratti da, miti greci, particolarmente da quello di Ercole e di Dioniso e dalle scene della guerra troiana, delle palestre, dei banchetti e della vita domestica. In generale I’artista trattava il soggetto più confacente all’uso, cui i vasi erano adibiti. Pochi sono i vasi rinvenuti nelle necropoli Falische provvisti d’iscrizioni e di firme; ad eccezione di qualche nome di divinità, comune è la espressione “kalós” attribuita a qualche fanciullo dipinto nel vaso, con la quale però talvolta l’artista si gloriava della sua stessa opera.
Da alcune firme apposte sul vaso e seguite dalla parola “epoiesen – fece” sappiamo che un rython a forma di astragalo proveniva dalle officine di Surisco ed una kylix a figure rosse da quelle di Hierone. Fra i migliori vasi di stile severo abbiamo un campione incomparabile, un Psykter, non solo per la forma rara del vaso, per la vivezza e l’impeto delle figure componenti la pugna dei Centauri e dei Lapiti, ma più ancora per l’effetto nuovo della pittura che è condotta a disegno lineare e con ombreggiature che danno alle figure un risalto ed un model¬ato del quale non si hanno altri esempi nei vasi di questa categoria.
Tra i vasi di stile nobile abbiamo un grandioso cratere intorno al quale si svolge una “danza sacra di undici fanciulle” che, tenendosi in catena per le mani, si muovono e cantano un inno corale, forse un parthenion, mentre una dodicesima fanciulla segna il ritmo della danza col suono delle tibie. Lo stile di questa pittura presenta una maggior leggiadria di forme e giustezza di disegno, specialmente negli occhi delle grandi e solenni figure di questo coro femmineo. Fra i vasi di stile fiorito abbiamo un cratere a campana sul quale “I’entrata di Ercole all’ Olimpo”, è rappresentata con quel gusto di stile e di composizione e con quel lusso di ornamenti nelle vesti e nelle teste che sono propri di questa classe di vasi (Necropoli: Celle, Colonnette, Valsiarosa).
Vasi Falisci d’imitazione
L’importazione dei vasi attici scompare nella prima metà del IV secolo perchè essi avevano trovati più sicuri sbocchi in altre contrade. Se il commercio attico nell’Etruria e nella regione Falisca, durato circa due secoli, soppiantò per i suoi bei prodotti le industrie locali o ne limitò la produzione per il solo consumo delle classi inferiori della città e per gli abitanti della campagna, pur tuttavia non distrusse punto questa industria locale, perchè verso la seconda metà del IV secolo e nel principio del III a. C. si ripete ciò che era avvenuto con l’arte orientalizzante; fiorì cioè un’arte locale d’imitazione.
A quest’epoca risale il maggior sviluppo della ceramica pitturata etrusca proveniente da alcuni principali centri – Clusium, Volaterrae, Perusium – che però non dette buoni risultati: oramai la civiltà etrusca incominciava a scomparire. Nel cratere di Vulci dalla sagoma pesante, il quale rappresenta l’addio di Alceste con Admeto, abbracciati in mezzo a due demoni, vediamo un’arte etrusca nei particolari del costume, ma di gusto discutibile negli esuberanti motivi ornamentali. Una prova di ciò è data anche dal confronto dei vasi Falisci con quelli Etruschi nei quali si riscontra una maniera sciatta e sgradevole, con quella lineazione di figure generalmente goffe fatta a larghe pennellate di vernice cattiva.
Ma l’arte locale d’imitazione raggiunse il più alto grado con la ceramica così detta falisca, che se rimase inferiore alla greca per le qualità delle materie prime, somiglia però per l’ornamento delle pitture e per il procedimento tecnico con cui furono condotte. I vasi falisci, che imitano in prevalenza quegli attici di stile fiorito, differiscono da questi per il colore più chiaro dell’argilla, per la vernice nera meno brillante e per l’uso talvolta di quella gialla e bianca con cui vengono accentuate alcune parti della figura onde esprimere particolarità più minuziose.
E su ciascun vaso si vede lo sforzo che hanno compiuto i singoli artisti per accostarsi alla perfezione delle tinte, degli smalti, delle luci onde raggiungere la massima purezza di composizione e di forma, espressione sempre più viva e profonda, congiunta alla finezza di sentimento che costituisce uno dei pregi migliori dell’arte falisca. Le forme preferite di vasi sono I’anfora a volute, il cratere a campana, lo stamnos di grandi dimensioni, la kylix; lo skyphos e l’oxybaphon. I soggetti sono tratti dai miti greci ma con variazioni locali; sono però preferite le scene dionisiache.
Nelle, tombe di questo periodo è caratteristica la posa di due vasi eguali. Di particolare attenzione per la pittura è lo stamnos falisco che presentemente si trova nell’Antiquarium di Berlino e che rappresenta il sacrificio funebre di due Troiani in onore di Patroclo. Notevole per iscrizioni in dialetto falisco sono le due kylikes al Museo di Villa Giulia, rappresentanti Dioniso che bacia e sorregge Arianna. L’iscrizione dice “Foied vino pafo cra carefo – hodie vinum bibam, cras carebo – oggi berrò vino, domani ne farò a meno” (Penna – Not. Scav. 1887 – C.I.E. 8179).
Come la ceramica falisca si distingue dall’etrusca, così non sì può confondere con quella italiota della Magna Grecia, che ha vernice e terra differente, struttura di vasi esagerata, in special modo quella delle fabbriche Apule. Il Brizio (Nuova Ant. 1889, pag. 432) ammetteva una larga influenza della ceramica apula su quella falisca, ma dall’esame dei vasi esposti nel Museo di Villa Giulia due soli sembrano appartenere alle citate fabbriche.
Questi costituiscono casi sporadici d’importazione di stoviglie nella nostra regione dalla Maglia Grecia ed anche quando esse si fossero importate poca o nessuna influenza potevano esercitare sulla ceramica locale. L’arte falisca, senza attendere di là l’impulso, aveva già fissato il suo stile e scelti i suoi modelli. Se si osserva attentamente il materiale falisco ed in particolar modo i migliori vasi ornati con grandi composizioni pittoriche si scorgerà la grande affinità con quelli attici dello stile fiorito.
Degna di attenzione è un’anfora al Museo di Villa Giulia rappresentante a “l’Aurora”, ammirabile per la bellezza della sua forma plastica e la rara magnificenza della sua ornamentazione policroma, che è prodotta, oltre che dal nero della vernice e dal rosso della terraglia, dall’aggiunta anche del bianco.
Alcuni hanno voluto assegnare la fine dell’arte falisca al 241 a. C. quando fu distrutta Falerii. Noi invece con il Savignoni (Bollett. Art. XVI) crediamo che gli abitanti, ricostruita la nuova città a S. Maria di Falleri (Falerii Novi), abbiano ripreso a fabbricare vasi in special modo a rilievo ed inargentati che seguirono quelli pitturati, e che in abbondanza si rinvennero in questa necropoli.
L’arte della ceramica si perpetuò in Civita Castellana ed anche oggi, oltre alle fabbriche che producono oggetti industriali, ve ne sono di quelle che con rara perizia cercano di imitare negli smalti, nelle decorazioni e nella tecnica l’arte antica. Tale industria ha notevole e maggiore incremento trovandosi nel nostro territorio varie e numerose cave di maiolica la quale, trattata e posta in fornace, prende, a seconda delle materie che contiene, un bel colore rosso cupo, biancastro e giallo. Oltre la terra per maiolica si rinvenne in contrada “Oltre Treia” del caolino o terra bianca da porcellana con la quale il celebre Volpato eseguì dei lavori di grande pregio e finezza. Non è cosa riflettente questo nostro lavoro trattare per esteso la storia vascolare civitonica durante il medio evo; ne esistevano delle fabbriche fin dal 1556 poichè nello Statuto Municipale di quel tempo si parla della corporazione “de li vascellari”.
Ben giustamente il Savignoni dice: “ogni raccolta di vasi è come un libro aperto che ci rivela una buona parte di ciò che formava il patrimonio di idee di arte e di civiltà dei popoli antichi e c’istruisce altresì intorno alle relazioni ed agli scambi sì materiali che spirituali avvenuti fra popoli diversi. Uno di cotali libri, e proprio dei più preziosi, è la raccolta di vasi di Villa Giulia, che, unitamente a tanta visione di arte e di pensiero, ci apre uno spiraglio sulla storia dei commerci, della operosità e della cultura di uno dei più valorosi ed industri popoli di Italia” (Boll. Art. XVI).
La Civiltà Falisca – di Antonio Dottorini – Estratto dell’Annuario del Regio Istituto Tecnico di Ascoli Piceno – 1927/1929 – Società Tipo Litografica Ascoli Piceno.
Storia e lavorazione della ceramica – Ciancamerla -Editrice San Marco, 1958.