Il Forte Sangallo
La massiccia mole a pianta pentagonale del Forte Sangallo si staglia con i suoi poderosi bastioni sullo sperone occidentale della città odierna. incombente sul fossato che ad ovest ricalca quello dell’antico centro falisco.
Fu Alessandro VI Borgia (1492-1503) ad affidare la sua costruzione ad Antonio da Sangallo il Vecchio che realizzò, alla fine del XV secolo, una delle più belle architetture militari dell’epoca, edificata a difesa dei confini settentrionali dei territori della chiesa secondo i più moderni criteri, in linea con lo sviluppo della artiglieria. I Borgia hanno lasciato l’impronta della loro presenza non solo negli stemmi ma anche nelle grottesche affrescate nel portico inferiore (controversa l’attribuzione a Pier Matteo d’Amelia), che inneggiano ad Alessandro e a Cesare, il Duca Valentino.
Con Giulio II, il Papa guerriero (1503-1513), la fortezza fu completata da Antonio da Sangallo il Giovane. al quale si deve il mastio ottagonale e il secondo ordine del loggiato dello splendido Cortile d’onore. Il nome del Papa con lo stemma familiare contraddistingue sia il bel portale bugnato di accesso al mastio sia il pozzo ottagonale al centro della corte, che insiste su una monumentale cisterna ancora oggi piena d’acqua. Molti furono i Pontefici che utilizzarono durante le loro visite gli appartamenti, in origine riccamente affrescati; tra questi Paolo III Farnese e Clemente VIII.
Dal 1750 circa al 1870 il Forte fu utilizzato come carcere e ne rimane testimonianza nelle celle che circondano il Cortile maggiore; in particolare negli anni più “caldi” del Risorgimento tra il 1819 e il 1846 furono concentrati qui i detenuti politici ritenuti più pericolosi, tanto che l’archeologo inglese George Dennis lo definì “la Bastiglia dello Stato Pontificio”. Nel 1870, quando le truppe italiane occuparono Civita, vi trovarono imprigionato da circa quarant’anni anche il celebre brigante Gasparone.
Rifugio per gli sfollati dopo il secondo conflitto mondiale, oggi accoglie il Museo archeologico dell’Agro falisco, dedicato all’antico popolo dei Falisci, che occupavano la valle del Treja in stretto contatto con Etruschi, Sabini e Capenati.
Al Forte si accede attraverso un ponte levatoio (ancora conservata è la ruota per la sua manovra) che conduce nel primo bastione detto della Rotonda, dove una scelta selezionata di urne e sarcofagi in pietra dell’V111 e VII sec. a.C. introduce alla conoscenza del costume funerario delle genti falische.
Attraversando i due cortili per raggiungere le sale espositive poste al primo piano si impongono all’attenzione altri materiali provenienti dal territorio, ormai romanizzato, come lo splendido sarcofago del II sec. d.C., con il ciclo delle nove Muse.
Sono soprattutto i due centri principali delle antiche genti falische ad essere rappresentati nel Museo: Falerii e Narce, che, indagati estensivamente alla fine del 1800, hanno costituito all’epoca il nucleo originario e fondante del Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma, con il quale il Museo dell’Agro Falisco intreccia ancora oggi la storia delle sue collezioni.
Falerii e il suo territorio
Falerii, principale realtà urbana del territorio ed unica città dei Falisci espressamente citata nelle fonti greche e romane (oltre Fescennium), esercitava la sua egemonia su un ampio territorio, che vedeva, più a nord, la presenza di centri rilevanti quali Corchiano e Vignanello.
Nel Museo, Falerii occupa un posto di rilievo proprio in virtù della sua importanza: ancora oggi Civita Castellana, sorta sulle rovine dell’antica città falisca, distrutta dai Romani nel 241 a.C., costituisce il principale centro della provincia dopo Viterbo.
Attraversando le sale espositive è possibile ripercorrere le fasi della sua storia, dalle prime testimonianze del X sec. a.C. con un piccolo nucleo di tombe a pozzetto rinvenute sotto il tempio di Giuno-ne a Celle ai corredi funerari che Ball’ VIII secolo ci accompagnano fino alla metà del III sec. a.C.
Già nei corredi più antichi emerge l’importanza delle produzioni ceramiche locali in impasto, contraddistinte da forme vascolari tipiche (ad esempio i sostegni a bulla sormontati dall’olla per miscelare il vino con acqua e spezie), decorate da ornati geometrici o animalistici graffiti o dipinti e talora arricchiti da motivi plastici soprattutto in corrispondenza dei manici e delle prese.
Nel corso del VII sec. a. C. il centro acquista una dimensione urbana con le necropoli disposte a raggiera attorno all’insediamento. A quest’epoca risalgono anche le più antiche iscrizioni in falisco.
Le sepolture in fossa lasciano progressivamente il posto alle tombe a camera in ricavate nel banco di tufo. Straordinaria testimonianza di questa transizione è una piccola tomba a camera con accesso da una fossa, con sepolture in tronchi di quercia, di cui si propone nel museo la ricostruzione sulla base dei documenti di scavo (sala 4). La ricchezza del sepolcro è segnalata dai monili e dallo scudo in terracotta deposto sul bacino dei defunti, probabilmente una coppia maritale.
L’emergere di un ceto sociale di alto lignaggio è evidente in molti dei corredi esposti: la necropoli di Valsiarosa, quasi a contatto con il sito oggi occupato dal Forte Sangallo, ce lo testimonia con lo splendido affibbiaglio in oro, argento ed elettro, con il distanziatore di cavalli le cui figurine plastiche evocano il mito di Anchise accecato dalle aquile per avere osato unirsi alla dea Afrodite o l’eccezionale protesi dentaria fissa in oro (sala 2).
Tra VI e V secolo Faleril assume sempre più un ruolo centrale nel sistema politico ed economico della regione e diviene uno dei centri più ricettivi di ceramica attica di grande qualità che, creando un substrato propizio, favorirà la nascita delle produzioni locali a figure rosse del IV e III sec. a.C.
I ceramografi falisci esprimono la loro creatività in veri e propri capolavori, talora, nella fase più antica della produzione, ancora di impronta classicheggiante, come gli stamnoi del Pittore del Diespater (sala 5) e in elaborati prodotti di ceramica argentata o policroma con decorazione a rilievo (sala 5). Fiorente è la produzione di ceramica a vernice nera, largamente esportata in concorrenza con Roma e con altre città etrusche.
Famosi erano anche i santuari della città, ubicati lungo le vie di accesso e in prossimità delle porte urbiche. In posizione strategica di fronte all’acropoli di Vignale, nel fondovalle, era il santuario di Giunone Curite, fin dalla prima metà del VI secolo punto di riferimento per la comunità falisca e non solo. Noto ancora in età romana, ricordato da Ovidio negli Amores, ci ha lasciato una rara attesta-zione di statua di culto in tufo, di cui resta la testa con corona di foglie di bronzo (sala 5). Ricco di suggestioni è il deposito votivo del santuario dell’acropoli di Vignale, con i bambini in fasce, le teste votive, l’iscrizione falisca Apolonos graffita su un frammento di vaso greco, che allude al culto del dio Apollo, identificato qui con l’Apollo Sorano venerato sul Monte Soratte, la Montagna Sacra dei Falisci e delle popolazioni confinanti.
Le decorazioni architettoniche degli edifici templari sono espressione di un artigianato locale di altissimo livello fin dal V sec. a.C. (si vedano le antefisse di via Gramsci nella sala 5) e raggiungono nel corso del secolo successivo punte straordinarie con i cicli statuari dei santuari eretti nella località Scasato, tra cui il famoso Apollo esposto nel Museo Etrusco di Villa Giulia a Roma.
Un cenno meritano anche le testimonianze archeologiche degli altri centri gravitanti nell’orbita politica di Falerii. Dalle necropoli di Corchiano (sala 6) provengono alcuni pregevoli corredi con ceramiche figurate di produzione locale (tra cui notevole è lo starnnos con scene tratte dal mito della conquista e distruzione di Troia), vasellame da banchetto in bronzo e in ceramica, oggetti particolari come le applique a figura femminile in ceramica argento, di produzione falisca.
La conquista romana nel 241 a.C. ha provocato un vero e proprio terremoto nella organizzazione territoriale. La caduta di Faleni e la sua distruzione hanno avuto conseguenze pesanti anche sugli altri centri che costituivano il tessuto sociale, politico ed economico dell’agro falisco. Alla rovina di tutti i centri urbani si accompagna la nascita di una nuova città, ormai romana ma dal nome antico, Falerii Novi, realizzata in pianura sul sito di un villaggio precedente.
La romanizzazione della società falisca fu però un processo lungo e complesso: ne è testimonianza la tabella in bronzo con dedica a Minerva, esposta nel museo, che, ancora agli inizi del II sec. a.C. mostra in un documento pubblico di carattere ufficiale l’uso del dialetto falisco (sala 6).
Narce
Nell’agro falisco meridionale, Narce (forse anticamente chiamata Tevnalthia), oggi nel Parco della Valle del Treja tra Mazzano Romano e Calcata, fu un centro di primaria im-portanza soprattutto tra l’VIII e il VII sec. a.C. Lo testimonia la ricchezza dei corredi funerari esposti nel museo: sono soprattutto alcune sepolture femminili ad attirare l’attenzione per la preziosità degli ornamenti in oro, ambra, faience, disposti sul busto della figura a comporre una sorta di pettorale; figure femminili di alto rango, il cui ruolo di mater familias preposta alla gestione della casa è sottolineato dagli strumenti per la tessitura e la filatura e dagli oggetti funzionali alla preparazione del banchetto; talora vere e proprie principesse, come la signora di Pizzo Piede, sepolta in una fossa di dimensioni eccezionali su un telo intessuto di placchette di bronzo e ambra e accompagnata dal carro da parata (sala 8, vetrina centrale).
La ricchezza del sito trova la sua ragione d’essere nel controllo delle vie di comunicazione lungo la valle del Treja e negli stretti rapporti con la vicina e potente città etrusca di Veio. A Narce arrivano precocemente ceramiche di importazione greca, fin dalla metà dell’VIII sec. a.C. Appartiene a questo periodo una coppa subgeometrica di produzione corinzia, che, per il valore che le veniva riconosciuto, fu conservata a lungo nell’ambito familiare prima di entrare a far parte del corredo di una coppia, probabilmente maritale, dell’aristocrazia locale sepolta in una tomba a camera dell’inizio del VII sec. a.C.
Osservando le produzioni ceramiche in impasto, prodotte localmente, appare evidente una grande varietà nelle forme e nelle tecniche espressive; non si ha qui, a differenza di Falerii, un sistema artigianale organizzato, ma piuttosto singole personalità artistiche che nel corso del VII sec. a.C. svolgono la loro attività non solo a Narce. Ad un artigiano di alto profilo che coniuga sapientemente innovazioni tecniche e stilistiche alla tradizione locale dell’impasto, si deve una coppia di grandi vasi biconici con una scena di caccia (o di danza rituale) che vede contrapposte figure di armati a leoni e animali fantastici.
E’ questo un periodo di grande vivacità economica. sociale e culturale, come mostra anche l’uso della scrittura da parte delle classi aristocratiche. L’adozione esclusiva della lingua etrusca per i testi scritti segnala forse la presenza stabile di Etruschi nella comunità falisca, ma anche la volontà di adeguarsi ad un modello culturale avvertito come autorevole.
La vicinanza al mondo etrusco e in particolare veiente è d’altra parte un leit motiv di tutta la storia di Narce, come dimostra anche la decorazione architettonica di edifici templari databili tra la fine del VI e i primi decenni del V sec. a.C., ispirata o addirittura ricavata dalle stesse matrici usate nel famoso tempio di Portonaccio a Veio.
Proprio la conquista romana di Veio nel 396 a.C. comporta una flessione econo-ica e sociale del centro falisco. Interessanti osservazioni sulle fasi finali della sua storia vengono dal santuario di Monte Li Santi – Le Rote, sulle sponde del fiume Treja. Gli scavi condotti tra il 1985 e il 2003 hanno portato in luce i resti di un complesso molto articolato di edifici e altari all’aperto, che dalla prima metà del V sec. a.C. giunge alla fine del II sec. a.C.
La composizione dei vari nuclei di offerte votive (teste e busti femminili con diadema e gioielli, bambini in fasce e seduti, statuette e statue di offerenti) mettono in evidenza una devozione prevalentemente al femminile nei confronti di Demetra e Persefone e di Minerva Maia e Fortuna.
Straordinario è il complesso degli strumenti sacrificali (coppia di alari in ferro e pinze da fuoco in ferro su un grande vassoio) rinvenuti sigillati vicino ad uno degli altari.
A cura di Maria Anna De Lucia Brolli